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La notti longa” (1972); “Yossiph Shyryn” (1980); “I diavoli del Gebel - Leggendario dell'Etna; Leggendario dell'Etna ” (2000); Clerys - Carnet di viaggiu (2003).
POESIE
(Da: “Antigruppo 73”)
Assomigliava a mia madre
Ieri sera la Pace era ragazza
splendida, una Madonna d'Antonello
da Messina e il profumo della spiga
di Francia, del mentastro e dello zàccano
nutricava il lucignolo alla torcia.
Dentro selva corrusca di bandiere
rosse di sangue, - le piaghe di Cristo
grondano ancora! - splendida avanzava
e nel cielo ventoso issava scritta
di Vangelo : «La vita d'un bambino
è sempre più preziosa della morte
di Johnson, il Verserio maledetto!»
Scioglieva trecce corvine la Pace
più del mantello fondo della notte,
ma le fioriva negli occhi, lumaca
di luce, la Pollara.
Assomigliava
a mia madre, stendardo di pinòcciolo,
quando il padre, fischiando madrigale
di pepitone venne a corteggiarla
dalla stranìa, e corbe di cerase
strinavano le nuvole a tramonto
folto di vespe d'oro.
Ella correva
a dargli il benvenuto ed i ragazzi
del quartiere, mocciosi, senza scarpe
le correvano dietro.
Oh, non si perde, Rafael Alberti,
di coraggio la donna di Messina
se a Giampilieri i carruggi raccolgono
lamentanza d’ulivo saraceno.
Un Cristo nudo…
E tu ce n'hai coraggio, papa Paolo?
lo ti presento Cristo,
un Cristo nudo,
lordo di sputi, battuto, e alle tempia
corone Irta d'aculei di perastro,
sopra tronco di croce...
Sràdicagli i chiodi
dal piedi e infilagli al dito
pesto di sangue anello di brillanti
e in testa la tua mitra ricamata
dl pietre preziose...
Te lo Immagini
un Cristo Infagottato come te?
un Cristo superbioso come te?
un Cristo ricco sfondato, con cento
leccapiedi dl dietro, come te?
Non chiamatela minchia, non chiamatelo
sticchio, ma uccello che ritorna a nido
caldo dì piume a frugare piccione
dentro lievito d'ombra fitta...
Noi
tutti nasciamo a questo modo, o Margaret,
In una notte d'amore che schiude
giglio dentro garofano
e lo spasimo,
avvinghiando due vite, tenta coltre
di mistero a sconfiggere la morte.
Al capezzale del tuo letto veglia
Maria, Concetto immacolata,
affiorano
angeli a confortare di speranza
nuova il padre del cieli, ed Inseguire
Il volto bianco della luna, a scorgere
una lacrima dentro la pupilla
della madre purissima, a sognarsi
la pace
del mondo, un milione di bambini
per cento milioni; ogni alba ha sempre
Il suo giorno...
Ed ora chiamatela
minchia, chiamatelo sticchio, chiamateli
come volete.
La parola è santa!
Ridendo
Ma non ride la parola
lo non scrivo per voi,
borghesi peraculi. automi dl plastica,
strafottuti nel sistema
— dove ruota contro ruota
Ingrana macinando tronfio cespuglio
dl rovo solitario sull'altura,
avanzo di piuma d'aquila,
tenero nitrito di giumente;
e non scrivo nemmeno
per voialtri onorevoli, custodi
d'un'ltalia puttana, ubbriace,
tromba d'ingordo monopolio,
onorevoli arruolati a tanto al mese,
a parte regalia quando l'intrigo
rende (gorgiera dl brillanti
per donna Clara e pelliccia di volpe
perchè il seno cascante non le geli);
e nemmeno per voi,
appaltatori di strade e palazzi
chiese che non hanno intonaco e pietra
né bitume e cemento
(e l'ingegnere del genio civile
preferisce piuttosto, quando càpita,
di fare un attento collaudo
alla preziosa inforcatura delle
vostre mogli onestissime);
né scrivo per voi
studenti smidollati che all'aperto
scandite il vostro timido pene
e contate le basole tetre delle piazza
o, supini a un caffè, con lame rugginose
tagliuzzate il vestito a chi passa
e poi vendete il fiato in tempo di elezione:
“Vota e fai votare per Don Fallo
gonfio d'acqua, l'erede di Tono Reggio
(mi ha promesso un impiego alla provincia/)”;
non scrivo, non scrivo per voi,
vitelloni mollicci sulla nuca
e al doppio mento, al fianchi lardellati,
nutriti col pastone di limoni
degli agrumeti zappati dal nonno
che a merenda leccava sarda e sale
per farvi benestanti;
non scrivo
per l magnaccle che su Lancia Fulvia
scorazzano smerciando droga e donne
(povera figlia di Peppino Turco:
violentata da quattro uomini In fola
quella notte, sul lido di Schisòl);
e non scrivo per la presidentessa
del sodalizio cattolico, Bettina
Cantevespro, davanti verginella
e martire di dietro (fede ti salva
e non legno di barca, o Pietro Apostolo!);
né scrivo per un lercio fratacchione
che In rustica cucina di convento
cuoce allo spiedo coscia di montone
o di pingue maiale e sogna poi
— o finge di sognare — angeli d'oro,
dolci madonne, all'alba, paradisi
pieni di gloria...
Ma scrivo per te,
Filippo Pappalardo, che l'Inferno
ce l'hai nel cuore, mentre la creatura
piange dentro la culla e la tua donna
invano spreme il seno senza latte!
Scrivo per te, Agata Azzurra, giglio
di San Marco d'Alunzio, che t'apristi
rosa di sangue sotto il fiato d'altri...
Ah!, non posso scordarmi Il male che
m'hal fatto e il bene che ti voglio ancora!
E la luna è la stessa, sempre uguale
è Il mare di Schisò, sempre gli stessi
sono igiorni e le notti!
E sempre cupo
è il lamento del vecchio mulattiere
del Ma/borgo, tuo padre — è quella, sempre,
la bestemmia che gli brucia la bocca.
Sempre quello il lungo sconforto
d'un garzone di barca che appena respira
vuota di pesci dentro l'acqua ferma.
A luglio Invano sboccia sulla spiaggia
di Sant'Anna un deserto tulipano
che si schiude ella brezza marina,
Margaret
(ricordo dl mulini a vento e folla
dl donchisciotti che le tirano il flato),
se le florida ortica rode all'arancio
la foglia gialla e f mari
sono scarsi dl pesca!
Per te scrivo,
Carmelo Sparacogne, vecchio patriarca
del Feudo Grande, che conosci I nomi
delle stelle e Il perché del pianto della
vite potata a marzo, e innesti l'aspro
cotogno che pero rinasce;
me nel libro segreto del destino
non hai saputo leggerti l'oroscopo...
Guidavi alla zappatura a schiera
su pietrose colline undici cuccioli
ancora ciechi... E quella sera di festa
ricca di senape e farina bollita,
dopo il digiuno della vigilia
e dell'antivigilia, scoppiò la bomba
della vostra miseria e volarono brandelli
e di giacche e sottane colorate
a pezzi nella scura volta del cielo
e andarono a posarsi a Buenos Ayres,
a Nuova York, a Sidney, ché un libeccio
tossicoso infieriva, quella notte.
All'alba, la lucerna a olio fievole
si mise a danzare e si spense per sempre.
Scrivo per te. Francesco Claccapira,
che ti trascini dietro al grido fioco
le tue quattro ossa ad uncino,
ché nessuno ti prende più a salario,
né a pietà di un frate ti chiama ed accendere
candele sull'altare
di San Francesco per un misero coppo d
i favetta e cicerchia!
Quel giorno
che il sindaco Talpa ti disse di lasciare
il lavoro al cantiere-scuola, per suo comodo,
e spulegrare il suo vigneto, tu,
con braccia e gambe tese, li grido stridulo
scagliasti contro di lui: — Questo mai!
Francesco Ciaccapira non si vende! —
Serrasti i pugni a scuotere l'aria
e negli occhi torvi lampeggiò
la pupilla... Per scarso rendimento
ti buttarono fuori. Oh i tuoi bramiti
di vitello ferito a tradimento!
Ma per una madre un figlio dl quaranta anni
che non riesce a legarsi i calzoni
con un pezzo di spago e andarsene
per il mondo
senza una mèta è sempre creatura
zoppa serrata al petto!
Scrivo per te, Tureddu Malasorte,
lisca di sarda magra, scarabeo
d'immondezzaio che passando sotto
la mia terrazza colma di fiori
alzi il selvatico ciuffo della testa
e mi saluti: — Ciao, compagno Santo! —
E mi chiedi: — Quando la faremo
questa rivoluzione? lo sono pronto
anche adesso! — E sollevi il pugno chiuso
a frugare un angolo di cielo pulito
tra un cespo di garofano e un altro di dalie
più rosse del tuo sangue, e dài fuoco al
geranio,
ridendo...
Ma non ride la parola!
Da: “Poeti siciliani”, Il Vertice, Palermo, 1974)
Agata Azzurra, Schiuma Lieve D’aria
Mi ubriaca questo odore come d’alghe
sfatte dal sole, anguille morte, e nebbia
di levante mi infradicisce la parola.
Non ha senso la vita, grido lungo
di gabbiano, che questa sera si accanisce
contro antiche memorie, sfiorandomi
l’anima che si difende in lino straccio
di vela.
Stanche di maretta, barche
si assopiscono a gioco di bambini
scalzi,
s’inclinano a silenzio
d'acquario verde.
Oh come presto muore
senza un lamento, agosto !
Addio, addio,
Agata Azzurra, schiuma lieve d'aria,
ché settembre arriva e non si sente !
M’illude Il Giuoco Di Una Lacrima
Così m'illude il giuoco di una lacrima
che vedo ad uno ad uno in mille fiori
il tuo viso mutarsi
e sono neri
come penna di corvo i tuoi capelli
lucenti più che foglia di magnolia.
Di salvia le tue labbra; i tuoi pensieri
dentro un bocciòlo tenero di rosa
biancoracchiusi;
indora le tue gote
color di pesco innamorato
e svetta
sul gelsomino il giglio del tuo collo.
Ormai nello splendore del giardino
asciutto l'occhio medita tranquillo
placide acque verderame, fiume
arco iridato...
E fondali di cielo.
Così m'illude il giuoco d'una lacrima.
Ti risposi...
quando l'ultima volta m'accogliesti
al petto e la tua voce
era ansimare arido di fiume :
“Cercati
un'altra ragazza di me più pura,
più vergine, più vera
che sappia darti il bene che tu vuoi!”
serenamente ti risposi, Agata :
“...e che abbia neri come te i capelli,
profondità di notte e gli occhi d'ombra
che ala di rondine
sfiorandoli con essi si confonda...”
Restìo com’ero di dirti la morte.
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