“Occhi antichi”, Caltaniseetta-Roma, Sciascia, 1957; “Il gelsomino”, Parma, Intelisano, 1968; “Inverno”, Catania, Edigraf, 1974; Provvidenze, Mandria, Lacàita, 1977; “Samarcanda”, Agrigento, Esseaerre, 1978; “L’odore della poesia”, Calanissetta-Roma, 1980; “Scenografia”, Comune di Alia, 1987.
Antonino Cremona (1° da sinistra)
POESIE
(Da: “Poeti Siciliani”, Il Vertice, Palermo, 1974)
Provvidenze Per La Valle Del Belice
Dal cavo della terra
salgono ciechi gli uccelli
senza cielo
si fermano in alto su bestie impazzite uomini di pietra
mentre ancora piange la terra
e trema
fatti di pietra
di fango
di polvere al sole
dentro lager del razzismo
burocratico
tende e baracche
insieme piovono vampe di sole
e lunghi fili d'acqua.
Basta
con questo pane da spartire con i cani smagriti e di stenti
e di paura.
Basta
con questa carità rinfacciata.
Basta con gli animali macellati
dal rovinio del terremoto.
Basta
con i compiacenti fotocolor
di materassi sventrati
casse in bilico sul taglio di un muro.
Basta con le vostre accorate parole
per tutte le case nostre devastate
per i nostri cadaveri televisivi
di legno e di pietra, di ferro e di carne.
Mentre
ancora piange la terra, e trema.
Basta
con questo biglietto di ferrovia per la frontiera
con questo buttarci via dai fiumi
e dalla terra
umide colline di dolori.
Basta con questo silenzio di strade deserte
di inferriate pencolanti
agnelli sgozzati e galline randage.
Con questa carità grinzosa.
Con la vostra saccente abitudine
di stabilire il nostro inzaccherato presente
la minestra amorevole a mezzogiorno
l'assegno stinto della disoccupazione
la branda che sussulta contro le corde
della tenda
la cartella delle tasse corrosa
dalla lebbra dei numeri.
Basta con questi campi senza
asino né zappa.
Con questa voraggine che scroscia
massacrando i morti in tombe di muri.
Con i destini prefabbricati
dai prestigiatori dell'indolenza.
Basta con queste notti senza luna.
Mentre ancora piange la terra
e trema.
Altre volte in marcia i contadini
con le donne e i poeti
nel sole della campagna
contro la mafia; con gli scrittori
e i musicisti fuori dai tuguri di gesso
per la pace contro la mafia;
altre volte i contadini in marcia
con le donne e i ragazzi di scuola
contro l'emigrazione
per le dighe contro la mafia.
I contadini silenziosi passano
con i cartelli sghembi da terre scoscese
fiorite di cardi e di margherite.
accanto a fronde di carrubo larghe
sino alle zolle spaccate dal sole;
muli ciechi in lontananza fra le ristoppie;
con i cartelli sghembi
lavoro nella nostra terra
i contadini silenziosi in marcia
nelle vie di Palermo,
le facciate delle chiese barocche
accolgono la fiumana contadina
rifare i paesi contro la mafia senza lavoro si muore
— mentre ancora piange la terra
e trema —
a braccetto con la faccia scura di rughe
i contadini del terremoto
con passo fermo e breve, lento.
Giustizia di manganello
e aspersione d'idranti
caroselli di polizia armata
ricevono il corteo mesto
nella piazza alberata di autorità
e di violenza.
Crollano piccole nuvole
il cielo si appiattisce
sulla folla sbandata
alberi e palazzi oscillanti in vortice
salgono ciechi gli uccelli
si fermano in alto su bestie impazzite
uomini di pietra —
insieme scrosciano vampe di fuoco
e lunghi fili d'acqua —
senza cielo
salgono ciechi gli uccelli
si fermano in alto su bestie impazzite.
Altre volte in marcia i contadini con le donne e i poeti
nel sole della campagna.
(Da: “EquÍvalencÍas”, Revista Internacional de PoesÍa, Madrid, 1982 )
Interno
Il glicine azzurro spande
una morbida sera tra vicoli
e case nel lento filtrare
degli sguardi. Colori
d'orizzonte tingono
il nostro colloquio
d'occhi. Su di me
accucciata mormori
baci, ti assopisci
nel chiaro di luna,
sillabi carezze.
La nave dei folli
Abbiamo ancora un pallido sole.
Il mare è fermo
in grinze di ghiaccio.
Fra riverberi di luce s’indovinano
molteplici orizzonti: uno
per ogni baratro
che sprofonda nel nulla
in cui eravamo allegri
a navigare.
Tutto è fermo; anche l'aria
vaporosa di pollini
lievi.
Uccelli vengono da oriente
con ali magre — alcuni
hanno fatto nido
in coffe e sartie
lacere dei venti andati —
portano chicchi di terra
nel becco, fili d'erba
incagliati nelle zampe. Poco a poco
ci siamo fatti di nuovo una terra
capanne d'umido, zolle di sudore.
La gazza s'inerpica nel volo
su declivi di ginestre sbiadite.
Abbiamo zappe, pungoli, animali
odii e misteri fra noi
spericolati amori, respiri d'ansia
donne gravide imbrattate di fango
— muta mi guardi
nella grazia delle tue rughe —
siamo tornati a faticare.
Interno-Esterno Alla Posta Vecchia
Spezza cielo e tramonto il mare
le case rapprese all’inferriata:
non si vede da qui si avverte
appena il muro
d'arenaria che muffe stingono
all'orlo di fragili conchiglie
(grigio traspare nel margine
si chiude in una gronda buia).
Altro muro lo taglia. Lampada
sospesa pencola ombre
sulla strada
vola
come una rondine da un balcone
a un fregio.
I giardini sporgono ciuffi
vampano odori fra le tegole
nel pigolare intenso (luci
lontane scandiscono l'aurora,
forse crepuscolo, nell'aria netta).
(Da: “Poesia erotica del 900”, a cura di C. Villa”)
Numeri di lei
Mi spoglia, si spoglia,
perché — sorride — ha fatto
il sessantotto tornendosi
lucide membra
con sfrenati pensieri.
Adesso — capisco dai gesti,
parla con le labbra colme
— ci stiamo inoltrando
nell’anno appresso
(Da: “Gli eredi del sole”, Il Vertice, Palermo, 1987)
Sonagli
Trascorrente luna declina
nel silenzio terso della notte
cade dove lei la raccoglie
fra le stelle impigliate di nuvole
nell'ansa terrestre del brivido
del mare e in sé la trasfonde
rosazzurra intrisa
di biancori trattiene
quelle luci
alla meraviglia del seno
in musica struggente
del suo corpo lei ch'è aria
e svolo alba di sguardi
ovunque albeggia in suoni
cadenzati suscita
e placa armonie sommesse
avvampa di sonagli
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