venerdì 1 gennaio 2010

Antonino Cremona


Antonino Cremona  è nato ad Agrigento (1931). Ha pubblicato:
“Occhi antichi”, Caltaniseetta-Roma, Sciascia, 1957; “Il gelsomino”, Parma, Intelisano, 1968; “Inverno”, Catania, Edigraf, 1974; Provvidenze, Mandria, Lacàita, 1977; “Samarcanda”, Agrigento, Esseaerre, 1978; “L’odore della poesia”, Calanissetta-Roma, 1980; “Scenografia”, Comune di Alia, 1987.




Antonino Cremona (1° da sinistra)




POESIE

(Da: “Poeti Siciliani”, Il Vertice, Palermo, 1974)

Provvidenze Per La Valle Del Belice


Dal cavo della terra

salgono ciechi gli uccelli

senza cielo

si fermano in alto su bestie impazzite uomini di pietra

mentre ancora piange la terra

e trema

fatti di pietra

di fango

di polvere al sole

dentro lager del razzismo

burocratico

tende e baracche

insieme piovono vampe di sole

e lunghi fili d'acqua.

Basta

con questo pane da spartire con i cani smagriti e di stenti

e di paura.

Basta

con questa carità rinfacciata.

Basta con gli animali macellati

dal rovinio del terremoto.

Basta

con i compiacenti fotocolor

di materassi sventrati

casse in bilico sul taglio di un muro.

Basta con le vostre accorate parole

per tutte le case nostre devastate

per i nostri cadaveri televisivi

di legno e di pietra, di ferro e di carne.

Mentre

ancora piange la terra, e trema.

Basta

con questo biglietto di ferrovia per la frontiera

con questo buttarci via dai fiumi

e dalla terra

umide colline di dolori.

Basta con questo silenzio di strade deserte

di inferriate pencolanti

agnelli sgozzati e galline randage.

Con questa carità grinzosa.

Con la vostra saccente abitudine

di stabilire il nostro inzaccherato presente

la minestra amorevole a mezzogiorno

l'assegno stinto della disoccupazione

la branda che sussulta contro le corde

della tenda

la cartella delle tasse corrosa

dalla lebbra dei numeri.

Basta con questi campi senza

asino né zappa.

Con questa voraggine che scroscia

massacrando i morti in tombe di muri.

Con i destini prefabbricati

dai prestigiatori dell'indolenza.

Basta con queste notti senza luna.

Mentre ancora piange la terra

e trema.

Altre volte in marcia i contadini

con le donne e i poeti

nel sole della campagna

contro la mafia; con gli scrittori

e i musicisti fuori dai tuguri di gesso

per la pace contro la mafia;

altre volte i contadini in marcia

con le donne e i ragazzi di scuola

contro l'emigrazione

per le dighe contro la mafia.

I contadini silenziosi passano

con i cartelli sghembi da terre scoscese

fiorite di cardi e di margherite.

accanto a fronde di carrubo larghe

sino alle zolle spaccate dal sole;

muli ciechi in lontananza fra le ristoppie;

con i cartelli sghembi

lavoro nella nostra terra

i contadini silenziosi in marcia

nelle vie di Palermo,

le facciate delle chiese barocche

accolgono la fiumana contadina

rifare i paesi contro la mafia senza lavoro si muore

— mentre ancora piange la terra

e trema —

a braccetto con la faccia scura di rughe

i contadini del terremoto

con passo fermo e breve, lento.

Giustizia di manganello

e aspersione d'idranti

caroselli di polizia armata

ricevono il corteo mesto

nella piazza alberata di autorità

e di violenza.

Crollano piccole nuvole

il cielo si appiattisce

sulla folla sbandata

alberi e palazzi oscillanti in vortice

salgono ciechi gli uccelli

si fermano in alto su bestie impazzite

uomini di pietra —

insieme scrosciano vampe di fuoco

e lunghi fili d'acqua —

senza cielo

salgono ciechi gli uccelli

si fermano in alto su bestie impazzite.

Altre volte in marcia i contadini con le donne e i poeti

nel sole della campagna.



(Da: “EquÍvalencÍas”, Revista Internacional de PoesÍa, Madrid, 1982 )

Interno

Il glicine azzurro spande

una morbida sera tra vicoli

e case nel lento filtrare

degli sguardi. Colori

d'orizzonte tingono

il nostro colloquio

d'occhi. Su di me

accucciata mormori

baci, ti assopisci

nel chiaro di luna,

sillabi carezze.



La nave dei folli


Abbiamo ancora un pallido sole.

Il mare è fermo

in grinze di ghiaccio.

Fra riverberi di luce s’indovinano

molteplici orizzonti: uno

per ogni baratro

che sprofonda nel nulla

in cui eravamo allegri

a navigare.

Tutto è fermo; anche l'aria

vaporosa di pollini

lievi.

Uccelli vengono da oriente

con ali magre — alcuni

hanno fatto nido

in coffe e sartie

lacere dei venti andati —

portano chicchi di terra

nel becco, fili d'erba

incagliati nelle zampe. Poco a poco

ci siamo fatti di nuovo una terra

capanne d'umido, zolle di sudore.

La gazza s'inerpica nel volo

su declivi di ginestre sbiadite.

Abbiamo zappe, pungoli, animali

odii e misteri fra noi

spericolati amori, respiri d'ansia

donne gravide imbrattate di fango

— muta mi guardi

nella grazia delle tue rughe —

siamo tornati a faticare.


Interno-Esterno Alla Posta Vecchia
Spezza cielo e tramonto il mare

le case rapprese all’inferriata:

non si vede da qui si avverte

appena il muro

d'arenaria che muffe stingono

all'orlo di fragili conchiglie

(grigio traspare nel margine

si chiude in una gronda buia).

Altro muro lo taglia. Lampada

sospesa pencola ombre

sulla strada

vola

come una rondine da un balcone

a un fregio.

I giardini sporgono ciuffi

vampano odori fra le tegole

nel pigolare intenso (luci

lontane scandiscono l'aurora,

forse crepuscolo, nell'aria netta).

(Da: “Poesia erotica del 900”, a cura di C. Villa”)


Numeri di lei


Mi spoglia, si spoglia,

perché — sorride — ha fatto

il sessantotto tornendosi

lucide membra

con sfrenati pensieri.

Adesso — capisco dai gesti,

parla con le labbra colme

— ci stiamo inoltrando

nell’anno appresso


(Da: “Gli eredi del sole”, Il Vertice, Palermo, 1987)


Sonagli

Trascorrente luna declina

nel silenzio terso della notte

cade dove lei la raccoglie

fra le stelle impigliate di nuvole

nell'ansa terrestre del brivido

del mare e in sé la trasfonde

rosazzurra intrisa

di biancori trattiene

quelle luci

alla meraviglia del seno

in musica struggente

del suo corpo lei ch'è aria

e svolo alba di sguardi

ovunque albeggia in suoni

cadenzati suscita

e placa armonie sommesse

avvampa di sonagli

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