sabato 1 maggio 2010

Teresa Mundula


Figlia di Nepomucena Zuddas e del Notaio Carlo dalle cui doti d’intelligenza ed arguzie deve gran parte della sua formazione, Teresa Mundula nacque a Cagliari quarta di 5 sorelle. Di esse Mercede occupa un posto rilevante tra i Poeti e Scrittori sardi del ‘900 con raccolte di versi(“La piccola lampada”, 1923, “La collana di vetro”, 1933) e vari importanti saggi critici; Francesca ha lasciato Poesie e scritti inediti. Dopo aver seguito con passione gli studi universitari in chimica ed in scienze naturali, fu per parecchi anni aiuto presso l’Istituto di fisica dell’Università di Cagliari. Nel 1922 si era intanto sposata col giovane Avvocato Luigi Crespellani, destinato ad assumere posizioni di primo piano – da Sindaco di Cagliari a primo Presidente della Regione, a Senatore della Repubblica – nella vita pubblica sarda dopo la caduta del fascismo. Dal matrimonio nacquero quattro figli. Lasciato il lavoro universitario per i crescenti impegni familiari, il suo spirito d’osservazione si rivolse agli aspetti più vivi e più immediati della realtà della sua città e dell’ambiente che la circondava, nonché alla riflessione sull’incontro con le persone più semplici e più autentiche con cui veniva a contatto. Mentre già nel periodo universitario aveva cominciato a scrivere Poesie in italiano è a quest’epoca che risalgono le prime espressioni in lingua sarda. La massima creatività in dialetto cagliaritano si ha tra il 1940 ed il 1950. Saltuariamente ed in alternativa con la lingua italiana continuava a scrivere versi in dialetto. Rimasta sola nel 1967, dopo la morte dell’amato compagno, con cui ha realizzato un lungo e felice incontro di amicizia nel matrimonio, Teresa Mundula ha raccolto e riordinato la copiosa produzione poetica, di cui nel 1973 l’Editrice Sarda Fossataro presentò una prima scelta che ebbe molto successo e fu seguita, nel 1976, da un secondo volume presso lo stesso Editore. Teresa Mundula Crespellani è morta a Cagliari il 14 novembre 1980.


Tre Poesie 

Candu mi pesu in chizzi

Candu mi pesu in chizzi e bandu in cresia,
e a is peis de Deus pongu is timorias
chi tengu po ma ‘a totu is fizzas mias
dogna strintura ‘a puru sindi stesia.

Mi pari da essi canna che pastori,
ti sezzu a sua ‘e una parda, sulittendi
si castiri is angionis sua pascendi
in mesu ‘e s’erba birdi e prena e soli.

No seu che barca perdia, sbentuliara,
in mesu ‘e mari, che filu ‘e erbiscedda
ch’intriri in portu a vela spalancara.

Traduzione

Quando mi sveglio presto

Quando mi sveglio presto e vado in chiesa
e in grembo a Dio depongo ogni timore
che ho per me stessa e per le figlie mie,
ogni pena del cuore si dissolve.

Mi pare d’esser calma come il pastore
che saluto su un sasso, zufolando,
guardi le pecorelle pascolare
in mezzo all’erba verde in pieno sole.

Non son barca sbattuta dal vento
in mezzo al mare come un filo d’alga:
sono leggera e allegra qual barchetta
che entri in porto a vela spalancata.


Su pensamentu miu

Su pensamentu miu è che su bentu
che a bortas bola senza ‘e si firmai,
mi dumandu timendi aund’araandai
cun ungara de prantu e de turmentu.

Ma è raru mera su maestrali forti.
S’in prusesti gentili e delicau,
esti su bentisceddu sospirau
chi mi ndi stesia is timorias de morti,

e mi consola s’animu agitaus.
Porta cun sé is profumus de is froris,
rasas, violettas, de tott’is coloris,
ch’ari passendi cun alas toccau.

Esti su bentu chi limpia su mari
e is puntas de is montis chi deu biu
de sa ventana ‘e sìapposentu miu:
mi portara allirghia e fidi impari.

Traduzione

Il mio pensiero

Il mio pensiero è come quel vento
che vola e vola senza prender posa,
mi domando temendo dove andrà
con le ondate di pianto e di tormento.

Ma il maestrale impetuoso è molto raro.
E’ per lo più gentile e delicato,
un venticello spesso sospirato
perché allontana i pensieri di morte,

e mi consola l’animo agitato.
Porta con se il profumo dei fiori,
rose, violette, di tutti i colori
che con le ali passando ha sfiorato.

E’ quel vento che fa nitido il mare
e le punte dei monti che io vedo
dalla finestra della stanza
mi porta assieme letizia e fede.

17/1/1972


Su picciocheddu e crobi

S’in prus aintru ‘e sa crobi sutterrau
in tres o quattru  partis  partis pinnicau,
chi ti pari chi siara unu fangottu,
ma poi du bis in qattru e quattr’ottu

pesai derettu comenti unu sordau,
e su piccioccu e crobi è presentau.
E’ puru presnentau beni gioghendi
a pincareddu is perdas spingendi,

pighendisi su soli schina a muru,
gioghendi in s’acqua peis in su luru,
e cun sa bucca e is ogus arriendi,
meris e serbiroras cugliunendi.

E’ filosofu senza de studiai,
e is problemas risolviri in pappai.
Pani, casu, nuxedda, figu frisca
cun pagu soddus, pisca su chi pisca.

Arribusca su mellus chi arribusca,
no timi ne s’istari, ne sa musca,
si spassiara a da biri camminai
a sua de is cambas, poi de fai bolai.

Ne in s’ierru timi sa frirura
si sulara a sua ‘e is dirus s’attura,
mesu nuu o a dus o tres gipponis,
o una giacchetta finzasa garronis.

De sa crobi non si osi separai;
sa crobi di onora a pappai,
desti chi a su notaiu su papperi
che su pinnacciu a su carabinieri.

Desti paracqua po d’arriparai
a ombrellinu po no si scallai,
dasti cavagna d’estizzurrara;
da porta prena, veni carrigara

a lussu mariscaddu ch’è sighendi
da conca a paris castiendi a domamdendi
si aressi ticu bonu po pagai,
si no sa crobi fairi arrumbiai,

a calincuna frutta arrumbulara
in sa busciacca ar’a benni accuara.
Piccioccheddu abituau a degna bentu
scriri aguantai sa sorti a su momentu.

In cuscus tempus de gherra s’è scazzau:
a biu chi non c’è nudda a guadangiai
chi rogna meri scrivi carrigai.
E sapressiu, aundi s’è accuau?

Ma candu s’abbundanzia ar’a torrai
e is provvistas s’ant’a torra a fai
d’ appu a intendi ancora arricchittendi:
“bregungia su Signori carrighendi!”

“Pighiri a mei a mei, sa mariscedda”
sonandi in sa busciacca s’arriadeddu,
“pighiri a mei a mei, sa meriscedda”.
Sonendi in sa busciacca sa buscedda.

Piccioccheddu abituau a dogna bentu
Scriri agguantai sa sorti a su momentu.

Traduzione

Ragazzo con la cesta in testa

Per lo più dentro la cesta è nascosto
in tre o quattro parti ripiegato così che ti pare sia un fagotto
ma poi lo vedi in quattro e quattr’otto.

Levarsi dritto come un soldato,
ed “il ragazzo con la cesta” è presentato.
Eppur giocando va presentato
a rimbalzazzo spingendo la pietra

prendendosi il sole appoggiato al muro,
giocando nell’acqua coi piedi nel fango,
sorridendo con gli occhi e con la bocca
urlando a domestiche e padroni.

E’ filosofo senza avere fatto studi
e i problemi risolve nel mangiare
pane, formaggio, nocciole, fichi neri
con pochi soldi, pesca quel che pesca.

Busca meglio che busca
Non teme ne l’estate, ne le mosche,
si diverte a vederle camminare
sulle gambe, fino a farle volare.

Non teme nell’inverno il freddo,
si soffia sulle dita e se ne resta                                                                                                                                       a capo mezzo nudo con due o tre giubbe
o con un giubbone fino ai piedi.

Non si vuol separare dalla cesta,
perché la cesta gli dà da mangiare,
gli è come la carta al Notaio,
come il pennacchio al carabiniere.

Gli è paracqua per ripararlo,
ombrellino per il sole,
gli è sporta, gli è tetto;
la porta piena ben carica

a quel padroncino che segue
guardandolo dalla testa ai piedi chiedendosi
se sarà un buon pagatore
se no farà cadere la cesta,

e qualche frutta caduta farà scivolare
nella tasca sarà ben nascosta.
Ragazzo abituato a ogni vento
sa  afferrare dalla sorte il buon momento.

In questi tempi di guerra è sparito
visto che non trova modo di guadagnare
perché ogni padrone sa caricare la merce da se.
E’ sparito dove s’è nascosto?

Ma quando ritornerà l’abbondanza
e le provviste si rifaranno nuovamente
lo sentirò ripetere ancora:
“Che vergogna il signore che si carica la merce”

“Prenda me, prenda me padroncino”
facendo suonare nella tasca i centesimi:
“Prenda me, prenda me padroncino”
facendo suonare dalle tasche le nocciole

Ragazzino abituato a tutti i venti
sa bene afferrare la sorte del momento.



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