sabato 1 maggio 2010

Piero Pischedda

Piero Pischedda nasce all’isola di La Maddalena il 5 febbraio del 1919, da una famigli nobile di Tempio Pausania, parente del grande Poeta dell’800, dell’omonima cittadina gallurese, Gavino Pes.
Dopo gli studi ginnasiali, trasferitosi a Cagliari con sua moglie, Nina Perrone di La Maddalena (parente del prosatore di piazza Gavino Contini), si laurea in Lettere antiche con una tesi sul Morgante Maggiore di Luigi Pulci che, inviata per scherzo alla romana Accademia dei Lincei, riceve l’ambito riconoscimento quale primo sardo – il secondo è l’Archeologo Giovanni Lilliu. Fin da giovane scrive Poesie che pubblica su riviste letterarie nazionali. Con un gruppo di Poeti sardi, durante gli studi universitari viene a contatto col Poeta futurista Filippo Tommaso Marinetti a cui dedicherà, con lo stesso gruppo di Poeti e Pittori sardi, l’Aereopoema futurista. Quando, nei primi anni cinquanta, l’Associazione “Amici del libro” si trasferisce da Carbonia a Cagliari (presso la sala del Municipio nel Largo Carlo Felice), il Presidente Nicola Valle lo vuole accanto a sé come Vicepresidente, medesima carica ricoperta in contemporanea dalla Scultrice Anna Cabras Brundo. La sua passione per gli autori classici latini e per quelli stilnovisti lo porteranno a contattare la Società Editrice Dante Alighieri e ad organizzare presso gli “Amici del libro” le “Lecturae Dantis”. Risale al 1954 la prima raccolta “Trasmigrazione”.
Sue Poesie, oltreché sui volumi pubblicati si trovano su riviste letterarie come “Il Convegno”, “Ausonia” e nel libro blu della Poesia italiana, che pubblicava lo scomparso politico Giovanni Spadolini.


Tre Poesie 

Da “Trasmigrazione” 1954

Quando viene la madre

Quando viene la Madre
a trovare il figliolo lontano
ogni cosa
ha una luce bella
e tutto risplende
con gli occhi d’entrambi.

Mia madre è arrivata!
La mia dolce Mamma!

Me l’ho sentita vicina
come non mai
ed ho rivissuto con Lei
anche lo sconosciuto:
ho visto la sua vita
e la mia
e mi sono sentito
buono come un pane
bello come un Dio
meraviglioso come un genio.

Quel che sentivo
erano i suoi sogni.


Da “Fermentazione” 1986

Ad occhi chiusi

Chiusi ho gli occhi
e sono come l’acqua lacustre
stupita al silenzio lunare.

Fra festoni rossi e bleu
dalle vene e dalle arterie,
alla luce gialla di grossi gangli,
fra le arcate bianche delle ossa,
danza il sangue
memore di motivi ancestrali:
nella mente assonnata
vagano visi incerti
e sboccia un sogno pallido
come sole del polo.


Colloquio fra ombre

Non giorno né notte
terreni  
avvicendano il colloquio
con le ombre:
slacciati dal corpo
sappiamo
soltanto misure eteree
e diciamo
temi e parole
senza catene.

Le ombre amano
la logica libera,
bandiscono i dogmi,
non conoscono
barriere e confini,
non hanno l’oscurità
degli uomini.

Se il corpo parla e gesticola
solo
non ridete:
aiuta l’anima ad inserirsi
in un colloquio fra ombre.

Nessun commento: