sabato 6 giugno 2009

Saggi, recensioni e cronache

NADIA CAVALERA
La scoperta dell’Alba”, in anteprima allegorica il manifesto politico di Walter Veltroni (recensione)
Walter Veltroni, La scoperta dell'alba, Milano, Rizzoli, 2007

L’uomo è rotto dentro, nel senso che è mal funzionante, imperfetto e contagia di questa sua condizione la famiglia (spesso rotta nelle sue dinamiche interne), ma anche la città (rotta nei rapporti interpersonali, sociali), lo stesso mondo, che va sempre più giù a rotoli. Financo la natura sempre più a pezzi.
E se l’uomo è ad immagine di Dio, c’è evidentemente un difetto d’origine, una materia Dio imperfetta, che si riproduce continuamente, diversamente ed instancabilmente nel tentativo di superarsi. Senza alcun successo finora. L’uomo comune cosa deve fare? Arrendersi o reagire come ha sempre fatto dacché è comparso sulla Terra?
Dopo tante arrovellate figure di inetto, uomo impotente ad agire, senza qualità o schiacciato dall’insignificanza della sua essenza, che hanno attraversato la letteratura del Novecento, Giovanni Astengo, il protagonista de “La scoperta dell’alba” di Walter Veltroni, reagisce.
Lui, uomo rotto, con una moglie rotta dall’aver procreato una figlia rotta perché down peraltro amatissima e definita non a caso “origine del mondo”, vince con sorprendente vitalità.
E’ comunque il concetto di rottura, variamente richiamato morfologicamente (ora con un aggettivo, ora con un avverbio, un verbo o solo un sinonimo) a costituire la chiave per comprendere questo romanzo asciutto, essenziale come i tempi richiedono, lieve e denso nel contempo. Vediamolo nello specifico.
Verso i quarant’anni, un dipendente ministeriale, addetto all’archivio di Stato (sezione lettura e catalogazione di diari), dopo aver vissuto per lunghi anni una vita all’apparenza regolartradizionale, in profondità rotta dall’improvviso e immotivato abbandono del padre, subìto a 13 anni, trova la forza insperatamente di riaffiorare dalla sua intima prostrazione di frantumata indeterminatezza e affrontare, risolvendolo, il vecchio nodo rimosso.
Lo fa col mezzo che più gli è familiare per il lavoro svolto: la stesura, a sua volta, di un diario, strumento da lui molto apprezzato perché depositario del “senso ultimo dei giorni di qualcuno”. Lo fa nel luogo più solitario della casa: la soffitta, come spazio memoriale della mente. Lo fa nel tempo cui lo costringono i sistematici risvegli precoci, quasi a marcare un’improrogabile urgenza esistenziale: la prima luce del giorno, tra la notte e l’aurora.
Così il protagonista, Giovanni Astengo, “pianificatore” di vocazione (di qui il nome di un noto urbanista del ‘900), gioco forza per l’orologio biologico, scopre e apprezza l’alba in tutte le sue sfaccettature e variazioni, nelle sue possibilità di carica vitale. Un’alba che nelle minute annotazioni piene di rimandi letterari (Calvino, Basile) non è solo fisica, ma rappresenta figuratamene la sua condizione psichica, di schiusa verso una vita piena, di tensione dunque verso il superamento di un’empasse: indice di un punto di rottura. Alba come speranza di ricomposizione futura. Di riscossa. Ma se il tema dell’alba è la colonna sonora emozionale che accompagna il dipanarsi del racconto in cui il protagonista ripercorre con levità la sua vita in un’indagine però serrata fino a venirne a capo, sarà il televisore privo di audio, a fare da scenografia mobile, mutevole, come “un colore di traverso”, sconcio, che va male, contrario ai propri desideri perché fatto di sangue, carcasse di auto esplose, tsumani, ballerine che non ballano, polli all’influenza, madri con figli straziati in braccio, incendi, il canto dei ghiacciai morenti…mentre si rompono nel mare. Insomma il presente, con tutto il suo peso negativo da rimuovere e che non può che essere leopardianamente “muto”, senza comunicazione, inaccettabile nella sua incomprensibilità per chi, rimestando nelle macerie del passato, si accinge alla sua manutenzione ed è proteso al futuro, all’avverarsi di un “giorno” pieno, integro nella sua compiuta eloquenza di valori. Per quanto possibile perfetto.
Come praticabile, dopo molte cure, riuscirà a rendere il giardino della vecchia casa di campagna, non più frequentata dopo l’allontanamento del padre, e che ritorna a visitare proprio in quell’estate torrida in cui, più libero da figli e moglie (tutti all’estero per vari motivi) avvia il diario.
Questa casa, immersa nel verde, dalla facciata ricoperta d’edera, le stanze ampie e vuote, alcuni oggetti ben noti sparpagliati qua e là , svolge un ruolo determinante, anzi risolutivo. Quasi trasposizione della soffitta, materializzazione traslata dei suoi pensieri più remoti, costituisce quel passato, che Astengo non aveva mai affrontato, ed il vasto giardino intorno, (con l’albero su cui lo zio aveva registrato con tacche la sua altezza), misterioso, intricato, complesso, rappresenta l’incrostazione di una cieca rimozione. Tant’è che man mano che il protagonista, tramite l’ingenuo stratagemma di una telefonata impossibile con se stesso bambino, chiarisce la vicenda personale della sua adolescenza, il giardino da giungla si trasformerà in un “prato ragionevole”.
E’ la casa, che lui prima aveva sempre evitato, a permettergli il tuffo nel passato, da lui schivato perché troppo doloroso e insostenibile. La casa, pregna del suo passato, avvierà il processo di autoanalisi, la precisa riconsiderazione di ogni minimo particolare, che, col supporto di ricerche in biblioteca, in internet, di incontri, gli daranno la soluzione che cercava: il padre non li aveva abbandonati per capriccio, ma spinto dalla paura di essere scoperto quale mandante dell’omicidio del suo più caro amico, per prenderne il posto: il professore Tessandori, preside della Facoltà di Architettura.
Dunque il padre tanto idealizzato era un semplice opportunista. Peggio, uno squallido soggetto che per le sue mire personali non aveva esitato a manipolare e sfruttare alcuni ingenui fanatici terroristi.E qui si direbbe che l’autore faccia trasparire la sua personale idea sugli anni di piombo: una pura follia, tanto più in quanto i veri burattinai sono sempre quelli che dominano, che stanno in alto, mascherati, perniciosi per qualsiasi libertà.
A cercare di combatterli non basterà certo l’allusione in questo libro, che comunque, dacché il suo autore si è assunto il compito di guidare il neonato fragile partito democratico, può senza ombra di dubbio considerarsi l’anteprima del suo programma politico. In nuce, allegorica.
Potrà il politico Walter Veltroni, con la sua controllata vitalità, far scoprire l’alba di un nuovo giorno anche alla nostra Italia rotta e disgregata?
Lo speriamo, tra tante paure.

Modena, 13 luglio 2007

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