NADIA CAVALERA
La scoperta dell’Alba”, in anteprima allegorica il manifesto politico di Walter Veltroni (recensione)
Walter Veltroni, La scoperta dell'alba, Milano, Rizzoli, 2007
L’uomo
è rotto dentro, nel senso che è mal funzionante, imperfetto e contagia
di questa sua condizione la famiglia (spesso rotta nelle sue dinamiche
interne), ma anche la città (rotta nei rapporti interpersonali,
sociali), lo stesso mondo, che va sempre più giù a rotoli. Financo la
natura sempre più a pezzi.
E se l’uomo è ad immagine di Dio, c’è
evidentemente un difetto d’origine, una materia Dio imperfetta, che si
riproduce continuamente, diversamente ed instancabilmente nel tentativo
di superarsi. Senza alcun successo finora. L’uomo comune cosa deve fare?
Arrendersi o reagire come ha sempre fatto dacché è comparso sulla
Terra?
Dopo tante arrovellate figure di inetto, uomo impotente ad
agire, senza qualità o schiacciato dall’insignificanza della sua
essenza, che hanno attraversato la letteratura del Novecento, Giovanni
Astengo, il protagonista de “La scoperta dell’alba” di Walter Veltroni,
reagisce.
Lui, uomo rotto, con una moglie rotta dall’aver
procreato una figlia rotta perché down peraltro amatissima e definita
non a caso “origine del mondo”, vince con sorprendente vitalità.
E’
comunque il concetto di rottura, variamente richiamato morfologicamente
(ora con un aggettivo, ora con un avverbio, un verbo o solo un
sinonimo) a costituire la chiave per comprendere questo romanzo
asciutto, essenziale come i tempi richiedono, lieve e denso nel
contempo. Vediamolo nello specifico.
Verso i quarant’anni, un
dipendente ministeriale, addetto all’archivio di Stato (sezione lettura e
catalogazione di diari), dopo aver vissuto per lunghi anni una vita
all’apparenza regolartradizionale, in profondità rotta dall’improvviso e
immotivato abbandono del padre, subìto a 13 anni, trova la forza
insperatamente di riaffiorare dalla sua intima prostrazione di
frantumata indeterminatezza e affrontare, risolvendolo, il vecchio nodo
rimosso.
Lo fa col mezzo che più gli è familiare per il lavoro
svolto: la stesura, a sua volta, di un diario, strumento da lui molto
apprezzato perché depositario del “senso ultimo dei giorni di qualcuno”.
Lo fa nel luogo più solitario della casa: la soffitta, come spazio
memoriale della mente. Lo fa nel tempo cui lo costringono i sistematici
risvegli precoci, quasi a marcare un’improrogabile urgenza esistenziale:
la prima luce del giorno, tra la notte e l’aurora.
Così il
protagonista, Giovanni Astengo, “pianificatore” di vocazione (di qui il
nome di un noto urbanista del ‘900), gioco forza per l’orologio
biologico, scopre e apprezza l’alba in tutte le sue sfaccettature e
variazioni, nelle sue possibilità di carica vitale. Un’alba che nelle
minute annotazioni piene di rimandi letterari (Calvino, Basile) non è
solo fisica, ma rappresenta figuratamene la sua condizione psichica, di
schiusa verso una vita piena, di tensione dunque verso il superamento di
un’empasse: indice di un punto di rottura. Alba come speranza di
ricomposizione futura. Di riscossa. Ma se il tema dell’alba è la colonna
sonora emozionale che accompagna il dipanarsi del racconto in cui il
protagonista ripercorre con levità la sua vita in un’indagine però
serrata fino a venirne a capo, sarà il televisore privo di audio, a fare
da scenografia mobile, mutevole, come “un colore di traverso”, sconcio,
che va male, contrario ai propri desideri perché fatto di sangue,
carcasse di auto esplose, tsumani, ballerine che non ballano, polli
all’influenza, madri con figli straziati in braccio, incendi, il canto
dei ghiacciai morenti…mentre si rompono nel mare. Insomma il presente,
con tutto il suo peso negativo da rimuovere e che non può che essere
leopardianamente “muto”, senza comunicazione, inaccettabile nella sua
incomprensibilità per chi, rimestando nelle macerie del passato, si
accinge alla sua manutenzione ed è proteso al futuro, all’avverarsi di
un “giorno” pieno, integro nella sua compiuta eloquenza di valori. Per
quanto possibile perfetto.
Come praticabile, dopo molte cure,
riuscirà a rendere il giardino della vecchia casa di campagna, non più
frequentata dopo l’allontanamento del padre, e che ritorna a visitare
proprio in quell’estate torrida in cui, più libero da figli e moglie
(tutti all’estero per vari motivi) avvia il diario.
Questa casa,
immersa nel verde, dalla facciata ricoperta d’edera, le stanze ampie e
vuote, alcuni oggetti ben noti sparpagliati qua e là , svolge un ruolo
determinante, anzi risolutivo. Quasi trasposizione della soffitta,
materializzazione traslata dei suoi pensieri più remoti, costituisce
quel passato, che Astengo non aveva mai affrontato, ed il vasto giardino
intorno, (con l’albero su cui lo zio aveva registrato con tacche la sua
altezza), misterioso, intricato, complesso, rappresenta l’incrostazione
di una cieca rimozione. Tant’è che man mano che il protagonista,
tramite l’ingenuo stratagemma di una telefonata impossibile con se
stesso bambino, chiarisce la vicenda personale della sua adolescenza, il
giardino da giungla si trasformerà in un “prato ragionevole”.
E’
la casa, che lui prima aveva sempre evitato, a permettergli il tuffo nel
passato, da lui schivato perché troppo doloroso e insostenibile. La
casa, pregna del suo passato, avvierà il processo di autoanalisi, la
precisa riconsiderazione di ogni minimo particolare, che, col supporto
di ricerche in biblioteca, in internet, di incontri, gli daranno la
soluzione che cercava: il padre non li aveva abbandonati per capriccio,
ma spinto dalla paura di essere scoperto quale mandante dell’omicidio
del suo più caro amico, per prenderne il posto: il professore
Tessandori, preside della Facoltà di Architettura.
Dunque il padre
tanto idealizzato era un semplice opportunista. Peggio, uno squallido
soggetto che per le sue mire personali non aveva esitato a manipolare e
sfruttare alcuni ingenui fanatici terroristi.E qui si direbbe che
l’autore faccia trasparire la sua personale idea sugli anni di piombo:
una pura follia, tanto più in quanto i veri burattinai sono sempre
quelli che dominano, che stanno in alto, mascherati, perniciosi per
qualsiasi libertà.
A cercare di combatterli non basterà certo
l’allusione in questo libro, che comunque, dacché il suo autore si è
assunto il compito di guidare il neonato fragile partito democratico,
può senza ombra di dubbio considerarsi l’anteprima del suo programma
politico. In nuce, allegorica.
Potrà il politico Walter Veltroni,
con la sua controllata vitalità, far scoprire l’alba di un nuovo giorno
anche alla nostra Italia rotta e disgregata?
Lo speriamo, tra tante paure.
Modena, 13 luglio 2007
sabato 6 giugno 2009
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