L’inconoscibilità dell’altro
di Cetta Petrollo
Vilma Costantini, La Musica e il silenzio, edizioni del Verri, 2014
pp.184, euro 20,00
La Musica e il silenzio, secondo
romanzo di Vilma Costantini, poetessa, saggista ed esperta sinologa –
ricordiamo le sue traduzioni da Pa Kin ( Il Giardino del riposo, 1980) e da
Wang Meng (Pensieri vaganti nel Tibet e Figure intercambiabili, rispettivamente
1987 e 1989) è la narrazione di una impossibilità, tentativo ed impossibilità, di conoscenza, di se stessi, dell’altro
nella relazione amorosa e amichevole e di un intero Paese, la Cina che sembra nascondersi al viaggiatore ed allo
scrittore, nella ricerca di una rielaborazione cognitiva, dentro ai confini
fluttuanti del sogno.
La protagonista, anzi dovrei
meglio dire le protagoniste, centrale la figura di Mascia, doppio dell’io
narrante, sono impegnate in un percorso di studio del “diverso”– l’Oriente che
si contrappone all’Occidente, il rovesciamento nello specchio della nostra
anima razionale – e scoprono, nel corso
della narrazione, di essere a loro volta studiate dai loro ospiti. Il sospetto
che si insinua nei rapporti e quindi nello stesso linguaggio sposta
continuamente in avanti l’obiettivo da raggiungere, la definizione di sé e
dell’altro, fino a farci balenare, quasi con i delicati colori all’acquarello
della pittura cinese, l’evanescenza di ogni strutturata conoscenza.
La cifra della narrazione è
quella della femminilità, una femminilità in lotta con le parole della
convenzione linguistica dalle quali è tentata e catturata per strutture
sintattiche e perfezioni dalle quali sfugge con pause narrative ed inserti poetici
proiettando la liberazione della e dalla
propria condizione in uno spazio altro, quello appunto del viaggio
nell’inconoscibile del Paese straniero.
Le viaggiatrici giungono nei
pressi della loro liberazione, linguistica, erotica, esistenziale nel momento
delle manifestazioni politiche e civili del maggio 1989 in Piazza Tiananmen. Davanti a questo rivoluzionario
capovolgimento che potrebbe produrre definitiva conoscenza, esse si ritraggono
ed osservano la scena da lontano, spettatrici della propria vita più che
attrici.
La consapevolezza della propria
connotazione vitale e stilistica è presente nel capitolo finale del romanzo, La
donna pesce, quello in cui il deragliamento poetico si fa più forte
terremotando i binari ed i panorami fino a quel punto attraversati : “ Più di
tutto mi rincresce di essere nata in un’epoca come questa. Non riesco a stare a
galla come gli altri. Annaspo. Boccheggio. Poi vengo risucchiata verso il fondo”.
E poi : “ La prima cosa che mi viene in mente/ quando penso alla catastrofe
incombente/è un grosso buco dove tutto cade/le grandi cattedrali, la polvere
delle strade/ l’odore del fuoco al tramonto/ l’amaro che non avevi messo in
conto/ i problemi della pubblica spesa/ le ragioni per trovare un’intesa/ i
contrasti, gli opposti interessi/ gli incontri, le passioni, gli amplessi/ le
scelte del caso non volute/ le fortune improvvise, le cadute/ le parole come
schegge di vetro/ la rima importuna che mi porto dietro/ le passeggiate in
campagna d’estate/ le prime lucciole che sono ritornate […] ”.
E proprio nella narrazione della
difficoltà al cambiamento – che resta sognato ed immaginato e mantenuto
sottotraccia come musica costante ed allusiva – e quindi dei lacci e lacciuoli
che hanno condizionato gran parte delle scelte di un’intera generazione di
donne, consiste il fascino di questo romanzo che si ferma nei pressi della
diversità e la contempla.
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